Quello che Amerigo è per noi

Amerigo è un canto corale.
Proprio come l’epica che narra le opere e i giorni, la terra e il lavoro umano
nell’alternarsi delle stagioni.
Il trompe-l’oeil della sala Pellegrini racconta di come siano oltrepassati non solo i limiti spaziali del soffitto e delle pareti ma anche quelli temporali. Le tovaglie di un corredo, i vasi e i colori della dispensa, il piatto del dolce uscito dal servizio buono, quello del pranzo della domenica, sono immagini vivide che riaffiorano dall’infanzia.

E così le vetrinette dei bicchieri, la bilancia con i pesi, lo specchio col nome del
caffè, i fiori secchi in cornice accanto ai ritratti in bianco e nero sono voci, ricordi, momenti di vita che tornano da un passato, non importa se rimpianto o rinnegato.
Tornano sempre con ruvida dolcezza e
senza invadenza.

Da Amerigo non ci si sente mai soli: è una festa, ma intima e senza caos, fatta di storia e di tante storie, tanto umane. Sono queste storie, personali e di tutti, che si affacciano coralmente in ciascuno dei piatti della trattoria e li rendono così sorprendentemente buoni, densi di memoria eppure proiettati in avanti: di nuovo, un trompe-l’oeil nel tempo.

A me, Stefania, ogni volta che siedo a un tavolo di Amerigo, piace riscoprire il gusto di quei piatti negli occhi luccicanti di mio marito Alessandro, che torna bambino e non smetterebbe mai, dopo il dolce ricomincerebbe ordinando una tagliatella – «un disastro», dice Alberto.

Sono momenti di serenità, che aiutano ad andare avanti.
Momenti di semplice felicità, oseremmo dire.